La vita quotidiana è la nostra cultura
Dokumentation Südtiroler Kulturzentrum
Pubblicato e redatto da Solveig Freericks, Franz Pichler e Isolde Tappeiner
Tipografia Union -Merano
Einführung auf deutsch
Presentazione di Grazia Barbiero
Vent’anni di cultura antagonista nei manifesti del Südtiroler Kulturzentrum
Sono sospesi tra arte e storia i manifesti di vent’anni di cultura antagonista in Sudtirolo, racchiusi in una delle sigle più significative, testimone e protagonista di quella cultura: il SÜDTIROLER KULTURZENTRUM. Nato negli anni ‘70, quando ormai è finito “il periodo in cui si saltava in aria e ci si odiava”1, il sodalizio offre una convincente casa comune alla sinistra sudtirolese plurale e diversificata perché sa accogliere le sue differenze e farle tra loro parlare. Della ricca produzione (teatro, film, concerti, en plein air session, discussioni, convegni di studio, happening, performance), i manifesti sono la sua anima iconica e quindi evocativa, che si fa guardare per spingere la mente altrove. L’appuntamento è a quella bellissima stagione di ricerca, di produzione di linguaggi reinventati, eversivi per il sistema, rivoluzionari per chi li ha pensati e fatti diventare vita e modo di stare al mondo, consumata negli anni ‘70, ‘80, fino a metà degli anni ‘90.
Visti uno dopo l’altro, i manifesti sono un lungo rosario di denunce, riflessioni critiche e proposte di pratiche politiche e sociali. L’eco che arriva fino a questo 2000 non appartiene al suono di un quartetto d’archi addomesticato e soave. Non c’è traccia di armoniosità. Si capisce che c’è rivolta nell’aria.
Conservati come reliquie nella casa meranese di Solveig e Franz Pichler, animatori del Kulturzentrum sudtirolese e custodi della sua memoria, i manifesti sono il resoconto fedele dei vent’anni d’oro di quell’intellettualità tedesca, geograficamente stretta tra il Brennero e Salorno, orgogliosamente non omologata e dislocata sul crinale scomodo e minoritario della sinistra culturale e politica.
Il gruppo d’azione è una pattuglia mobile, una sorta di collettivo aperto che opera nelle città ma anche nelle valli; si sposta a Innsbruck, a Vienna e qualche volta nel vicino Trentino. Si muove spesso in compagnia di altri coraggiosi “compagni di strada”. Sono la Südtiroler Hochschülerschaft, il Kulturkreis M.Gaismair, Radio Tandem, il circolo “La Comune”, la libreria “La Sinistra”, il circolo Rinascita ma anche il Bertolt Brecht, la CGIL/AGB ARTI VISIVE, il Centro per il terzo mondo, il Movimento delle donne, il “Komitee für Frieden”, la “Gesellschaft für bedrohte Völker”, ma anche AGB/CGIL, SGB/CISL, SGK/UIL, Acli, Circolo 1° Maggio e – tra i partiti e i movimenti politici – la NUOVA SINISTRA/NEUE LINKE (dal 1978 al 1983), LA LISTA ALTERNATIVA PER L’ALTRO SUDTIROLO/ALTERNATIVE LISTE FÜR DAS ANDERE SÜDTIROL (dal 1983 al 1988), DEMOCRAZIA PROLETARIA/ARBEITERDEMOKRATIE, IL PARTITO COMUNISTA/KOMMUNISTISCHE PARTEI ITALIENS.
Il SÜDTIROLER KULTURZENTRUM nasse ufficialmente nel 1975. Nel 1978 muore, a Brunico, giovanissimo, Norbert C.Kaser (poeta che l’Einaudi nel 1994 inserisce nell’antologia dei nuovi poeti tedeschi, tradotto in italiano da Giancarlo Mariani). Al suo funerale partecipano i sudtirolesi che non sono in sintonia con la politica della Südtiroler Volkspartei. Silvius Magnago e il suo partito, in una fase di autonomia realizzata e di consolidata tutela delle minoranze nazionali, tedesca e ladina, sono attestati anacronisticamente sul fronte che individua la difesa delle etnie minoritarie nel loro isolamento dall’etnia italiana di maggioranza. Le scelte di governo sono potentemente governate da questo “assunto di partenza” capace di imporsi come regola del vivere di ogni giorno.
In questo stesso anno, Alexander Langer raccoglie le più innovative esperienze e pratiche antinazionaliste, maturate negli anni precedenti, nella Nuova Sinistra/Neue Linke e viene eletto in Consiglio Provinciale e regionale a rappresentare il nuovo movimento interetnico.
Il partito comunista/Kommunistische Partei Italiens ha tre consiglieri provinciali, tra cui Josef Stecher che appartiene alla ristrettissima cerchia di cittadini di lingua tedesca che già alla fine degli anni ‘60 e agli inizi degli anni ‘70 (viene eletto una prima volta nel 1973) infrange la regola aurea “un tedesco vota solo un partito tedesco”. Lo fa in nome dell’internazionalismo proletario. L’establishment lo fa sentire un traditore della patria.
La destra italiana è rappresentata dal Movimento sociale italiano che ha un solo esponente. Democrazia cristiana, Partito socialista ma anche i socialdemocratici sono appagati vassalli del partito di maggioranza assoluta. Südtiroler Volkspartei e governo dell’autonomia provinciale s ono diretti saldamente da Silvius Magnago: l’identificazione tra partito di raccolta etnica e istituzione autonoma di governo è totale.
Periodo di grandi fermenti, questa fine degli anni ‘70 incassa intellettuali di lingua tedesca che vogliono una società meno blindata etnicamente e spostata più a sinistra, raccolta attorno alla Die Brücke di Alexander Langer, Siegfried Stuffer, Josef Schmid, Josef Perkmann, dà i suoi buoni frutti.
Perkmann fonda l’AGB/CGIL, il sindacato di classe anche per i lavoratori e le lavoratrici di lingua tedesca che per la prima volta possono riconoscersi in un’organizzazione non etnica.
La voglia dei cittadini di lingua italiana di accasarsi nel Sudtirolo plurilingue è in forte espansione.
Nel 1979, il partito comunista intercetta la nuova tendenza che confina nel passato l’idea italianista di un Alto Adige pezzo qualunque d’Italia, dove è giusto “parlare italiano e basta”. In poche settimane, a migliaia i cittadini italiani di Bolzano, Merano, Bressanone, Brunico, Vipiteno, Laives, Bronzolo e Ora firmano la petizione comunista che chiede l’apprendimento facoltativo del tedesco già dall’asilo. Anche molti cittadini e cittadine di lingua tedesca condividono la richiesta senza paura di negative contaminazioni. Nasce l’Associazione dei genitori per il bilinguismo precoce con Zanirato ed altri/e.
La Südtiroler Volkspartei commette un errore storico: non coglie la positività del nuovo autonomismo degli italiani e si nasconde dietro una rigida interpretazione dello Statuto del 1972 per negare l’utile possibilità che potrebbe consentire di imparare meglio il difficile tedesco. Dieci anni dopo, nel 1989, è la destra italiana a chiedere di abolire l’obbligo del bilinguismo. Sono moltissimi gli italiani che dicono di sì a questa semplificatoria sirena del passato che risponde ad una logica antitetica a quella che animava “L’onda aperta” del ’79. E’ la risposta alla porta chiusa in faccia dieci anni prima dal governo di Magnago e dell’assessore alla cultura Anton Zelger, edificato sulla diffidenza e sulla paura.
Si deve aspettare ancora un altro decennio, il 1999, perché la SVP consenta la “sperimentazione” del bilinguismo precoce. Alle elezioni provinciali dell’88, la destra italiana elegge quattro consiglieri, il Partito comunista un solo rappresentante e alta lista Verde/alternativa sono assegnati due seggi.
Nell’81, Alexander Langer rifiuta “il catasto etnico”. Chiede che il censimento sia anonimo come previsto dallo Statuto d’autonomia e permetta di stabilire la consistenza numerica dei gruppi etnici senza attribuzione nominale una volta ogni dieci anni. Quelli che “obiettano” perché rifiutano la “schedatura” o perché non si riconoscono nei tre gruppi linguistici codificati, in quanto figli di genitori misti o altro, si vedono negati i più elementari diritti civili: dal diritto di candidare alle elezioni per i comuni a quello di accedere all’edilizia popolare o agevolata. La sinistra storica, sia quella di governo, il PSI, sia quella d’opposizione, il PCI, accetta l’impostazione data al censimento dalla Südtiroler Volkspartei. Qualche anno dopo, la “svista” più eclatante viene riparata con l’istituzione di un quarto gruppo misto, ma la penalizzazione degli obiettori continua. Alexander Langer è la vittima più illustre. Nel 1995 è costretto a subire l’ingiustizia più grave quando non gli viene concesso di candidare a sindaco di Bolzano perché non ha rilasciato la dichiarazione etnica al censimento nominativo della popolazione. Quest’illegittima norma viene cancellata solamente dopo la sua morte, agli inizi del 2000, quando la sua esistenza fisica non era più in grado di disturbare gli assetti di potere.
Alexander Langer si suicida proprio nel 1995, il 3 luglio, dopo anni esclusivamente dedicati alla “lettura delle società multietniche” e alle lotte per la convivenza arricchente tra persone di etnia, lingua e cultura differenti. Il 1995 è anche l’anno in cui infuria l’odio etnico in una parte cruciale d’Europa e la Bosnia diventa terra insanguinata da una guerra interna che sembra non debba avere mai fine. Un anno prima, nel 1994, Langer scrive il Tentativo di decalogo per la convivenza interetnica e nel marzo ’95, in un’intervista spiega: “sono convinto che ormai il tempo sia più che maturo perché ci si occupi non solo e non tanto dei diritti etnici (o nazionali o confessionali) ma della ricerca di criteri per costruire un ordinamento della convivenza pluriculturale, che non potrà essere in primo luogo concepito come un insieme di norme e situazioni legali, ma soprattutto di valori e di pratiche della mutua tolleranza, conoscenza e frequentazione”.
Nel 1981 e negli anni successivi, il Kulturzentrum si esprime contro il censimento etnico nella forma voluta dalla SVP. In questo stesso anno, il gruppo promuove la grande mostra panoramica “Anche – auch Südtirol/o” al Kursaal di Merano che viene replicata a Vienna, al Palais Palffy, nella Josefsplatz.
Arriva fino al centro dell’Austria socialdemocratica la denuncia dell’odiosa cappa di regime che opprime la libertà d’espressione e offende l’intelligenza di un popolo. Il manifesto di Franz Pichler “Schützt die Dolomiten Blüten”, bellissima poesia verbo-iconica che gioca sulla polisemia delle immagini e delle parole, presenta la grande mostra. La fioritura allude alle notizie addomesticate e monopolizzanti offerte dal potente quotidiano della famiglia Ebner. Ma la fioritura esprime anche lo struggente amore di Pichler per la sua terra. L’artista confeziona anche un oggetto cult di quest’epoca: il Dolomiten/omelette.
Già nel 1978, Jakob De Chirico firma il manifesto che irride il Dolomiten, unico e potente quotidiano di lingua tedesca. Si deve aspettare fino al 1997 perché nasca un secondo quotidiano scritto in tedesco, “DIE NEUE SÜDTIROLER TAGESZEITUNG”, diretto da Arnold Tribus. E’ efficace poesia visiva e sonora, il manifesto in bianco e nero di De Chirico che riproduce la sigla del Dolomiten per dire che non è solo il Tagblatt der Südtiroler, come recita la scritta sul giornale. Aggiunge al testo originale semplicemente “Volkspartei”. E’ sufficiente questa correzione perché il Dolomiten sveli la sua vera natura. Non è il quotidiano dei sudtirolesi ma della sua “padrona”, la Südtiroler Volkspartei. Questa è la verità. De Chirico ride divertito di tanta scoperta, scrivendo a lettere cubitali proprio sotto il Dolomiten “HA HA HA”. Leggere significa rifare il suono irriverente che ha proprio 1′ “HA HA HA” pronunciato ad alta voce.
Il manifesto murale di straordinaria forza emotiva realizzato da Christian Pardeller nel 1975: “Wir sind nicht reif für die Universität/Non siamo abbastanza maturi per l’università” riporta una frase di Hugo Gamper della SVP rilasciata in un’intervista al quotidiano “L’Adige”. “E domani?” aggiunge Pardeller. Risponde al posto di Gamper “Siamo troppo stupidi?”. Questo manifesto è ancora gioco di parole, intreccio di caratteri, cambio repentino e ironico di registro, quasi la sceneggiaturadi un pezzo di teatro, di una commedia delle parti. E’ un’opera di scrittura visuale in sintonia con le ricerche care alla sperimentazione della Neoavanguardia italiana e internazionale degli anni ’60 e ’70, dalla poesia visiva alla nuova scrittura, alla poesia concreta e sonora. Felici prosecuzioni delle presedenti sperimentazioni futuriste (le parolibere) e dadaiste (i poemi-oggetto). E’ di Pardeller la performance sotto i portici a Bolzano, dove erige un altarino a Magnago. Viene la polizia e sequestra il suo lavoro. E’ il1979. Pardeller muore giovane, dopo aver accompagnato a casa Dominikus Andergassen, un altro esponente di punta del Kulturzentrum. Un anno prima viene occupata la casa dell’Ex Monopolio Tabacchi a Bolzano. Tutti sanno che il sindaco d’allora, il democristiano Giancarlo Bolognini ha deciso di abbatterla per fare posto ad un parcheggio. L’edificio ristrutturato potrebbe invece diventare un utile centro culturale e di aggregazione sociale in una città in cui questi spazi mancano. La lunga occupazione trasforma l’edificio semidiroccato in un posto confortevole, un vero centro sociale ante-litteram che accoglie gli emarginati di ogni tipo e con loro e per loro fa musica, teatro, dialogo vero sui problemi di ognuno e del mondo. All’alba di un giorno triste, le ruspe abbattono implacabili il Monopolio e le speranze di un’intera generazione subiscono un duro colpo. Molti protagonisti dell’occupazione recitano nello spettacolo di teatro bilingue “Teste tonde e teste a punta” di Bertolt Brecht, diretto dal regista austriaco Götz Fritsch. Riuscita sperimentazione in cui ogni attore parla nella sua madrelingua.
Sempre di Christian Pardeller è un manifesto del 1974 che anticipa l’anno di inizio dell’attività collettiva del gruppo. Reca la scritta del posto di produzione: via Taramelli n. 13 a Bolzano. E’ il suo indirizzo di casa. “Si farebbero strada nuove idee – non possiamo permetterci di mettere in pericolo la SVP”. Per questo bisogna dire “no” all’Università a Bolzano, ammicca ironico Pardeller. Anche questa è un’invettiva giocata sul filo dell’ironia contro un potere politico che si ostina a negare l’istituzione dell’Università in un tempo in cui tutti la vogliono. Bisogna aspettare più di 25 anni e la SVP del dopo-Magnago, quella di Durnwalder, perché cada il muro del “no”.
Sempre Pardeller saluta nel ’78 la nascita della “Nuova Sinistra/ Neue Linke”. “Unsere Umwelt ist wertvoll, l’ambiente è prezioso” scrive e disegna una foglia autunnale. A colpire il cuore del sistema è l’intreccio esplicito delle immagini con le parole: le prime rafforzano le altre e viceversa. Mai l’immagine è pura decorazione, ornamento e mai la parola è didascalia dell’immagine. L’operazione attuata da questi operatori è la risposta nell’ambito delle arti visive – alla nuova domanda di partecipazione sociale che irrompe precipitosa e carica di aspettative sulla scena di mezzo mondo. Il gruppo di artisti che opera in Sudtirolo a partire dagli anni ’70 si configura come movimento radicale ed esplicitamente identificabile di rivolta estetica. Segna il passaggio dal modo individuale di produzione dell’arte a un processo socializzato di elaborazione delle forme. Fornisce una risposta alla crisi e ridefinisce il ruolo tradizionale dell’artista, supera l’aggregazione spontanea attraverso il rapporto dialettico con le forme e gli istituti della partecipazione politica, crea un’esperienza tesa a superare le difficoltà di socializzazione del linguaggio delle forme attraverso l’acquisizione e la diffusione delle tecniche dell’interazione, dell’animazione, dell’immediatezza della partecipazione. Il gruppo di artisti sudtirolesi che opera secondo questa prospettiva teorica e pratica non è periferico rispetto ad analoghe esperienze tedesche o francesi, attive in questi anni e si collega alle esperienze di Volterra del ’73 e a quelle presentate alla Biennale del ’76, curata da Enrico Crispolti che titola significativamente “Ambiente come sociale”. La provincia non è provinciale, quindi. Non è area di colonizazione. E’ espressione di un autentico movimento di decentramento culturale. Punta avanzata dell’innovazione dell’arte e del suo coinvolgimento attivo nei processi di cambiamento sociale e politico. Dominikus Andergassen, Jakob De Chirico, Sandro Freina, Kurt Hofer, Peter Kaser, Christian Pardeller, Franz Pichler, Peter ProEliner, Matthias Schönweger, GüntherVanzo ma anche Solveig Pichler, con i manifesti e gli interventi perfare esprimere la cratività dei bambini, allargano il campo d’esibizione degli artisti tradizionali. Un gioioso manifesto realizzato da Solveig Pichler nel 1980 chiama a raccolta i bambini “dagli otto anni in su” nella sede di Radio Alfa a Merano, in via Portici 105 al IV piano, per una session di libertà espressiva.
Questi artisti producono manifesti per chi passa e guarda. Inscenano happening di strada, come nei pisciatoi pubblici a Bolzano, dove espongono i loro lavori e partecipano all’inaugurazione elegantemente vestiti come fossero il pubblico delle gallerie e dei Musei. Vogliono protestare contro la mancanza di spazi espositivi. I pochi esistenti sono monopolizzati da artisti che praticano l’arte tradizionale della pittura su cavalletto e della scultura accademica. Pretendono il dialogo con la risposta creativa del fruitore; una comunicazione certamente minoritaria ma che coinvolge un grande numero di persone. Tutti affidano priorità al riconoseimento della funzione di comunicazione alternativa del manifesto murale. Lo affiggono sui muri delle strade urbane e preurbane e là dove i paesi sono microscopisi, a valle o in alta montagna. I manifesti non sono mai innocui, la loro carica di provocazione è furente. “Hilfen grida claustrofobico Matthias Schönweger imprigionato e schiacciato da tanti minacciosi “Wände” fisici e metaforici, eretti da chi non vuole farlo uscire allo scoperto. A imprigionarlo, sacrificarlo, zittirlo sono tanti muri di parole (Wände) tutti uguali che formano una griglia ordinata sia orizzontalmente che verticalmente. In mezzo, il grido che invoca aiuto (Hilfe) è uno solo. E’ facile individuarlo perché è parola diversa che surriscalda e attira lo sguardo. Poesia di parole che sono muri, o meglio muri ordinati di parole: non è solamente da leggere e guardare ma è soprattutto da urlare. Concettuale nell’austera forma gutenberghiana è fortemente drammatica e disordinata nella reazione che innesca. L”‘Hilfe” di Schönweger schiacciato dai muri che sono parole invoca il suo bisogno d’aria. Ma è chiaro che non è solo lui a chiedere aiuto. Il suo HILFE è l’idea di aiuto che anticipa l’aiuto gridato sul serio, invocato da quanti sentono il bisogno d’aria perché è l’aria dell’ora di libertà a mancare a metà degli anni ’70, anche in questa parte di mondo.
A Merano, negli anni ’70, le feste de L’Unità, coordinate da Domenico Carrara, non sono solamente posti dove si mangiano salsicce e si beve Lambrusco. Sono manifestazioni culturali in piena regola, collocate sul fronte avanzato dell’impegno politico e culturale. Gabriella Mammero realizza una mostra sulle differenze di gioco tra bambini e bambine, anticipando una riflessione teorica tutt’ora di grande attualità.
Vengono chiamati i cantautori più impegnati della canzone politica italiana, da Ernesto Bassignano a Gualtiero Bertelli; arrivano anche Loredana Perissinotto, Camillo Tonini e fise Hanl con il teatro d’animazione che nasce proprio in questi anni. Jakob De Chirico, sempre bilingue per scelta culturale e per identità personale, sceglie il fumetto, la striscia pedagogica per illustrare le guerre contadine di metà 500, con testi di losef Perkmann, per denunciare lo sfruttamento delle lavoratrici dei magazzini di frutta, per protestare – già nel 1971- contro la chiusura della “Montedison” a Sinigo, alle porte di Merano. li suo “Piedino”, l’uomo che ha un piede al posto della testa è l’archetipo di tutti gli uomini che hanno per testa un piede. La striscia racconta l’uomo oscurato, I’ Hitler qualunque che ha la testa a forma di piede. Non è nato e morto una volta per tutte questo mostruoso ” Piedino”. Si riproduce ogni volta che la Ragione si oscura e che la testa si lascia mandare via da un qualsiasi piede.
Nel 1984, a Merano, espongono i propri lavori nel grande Kursaal il gruppo di artisti del Südtiroler Kulturzentrum allargato a gardenesi delle Arti Visive/CGIL-AGB come Egon Moroder Rusina, Leander Piazza, Manfred Mureda e agli “inattuali” Pancino e Franco Verdi. Ad accogliere il pubblico è il grande cappello tirolese di Manfred Mureda. Sono artisti che si mettono in rete, come Netzgruppe.
“Più ci dividiamo e più ci separiamo, meglio ci capiamo”: una frase che Franz Pichler inventa in un manifesto dei primi anni ’70 e attribuisce ad Anton Zelger. Nessuno mette in dubbio l’autenticità della firma dell’assessore perché è sintesi fedele della sua filosofia politica. Paradossalmente, neppure lo stesso Zelger sente il bisogno di pronunciare una smentita: accetta la paternità di quello slogan e la rivendica in pubblico.
“Wähle Links/Vota a sinistra” dice il Südtiroler Kulturzentrum ad ogni appuntamento elettorale, in segno di rispetto per la sinistra che è plurale e diversificata anche in Sudtirolo.
“Wir wissen wer ihr seid, die unsere Jugend zu Tode spritzt” dice Kurt Hofer nel 1983. Nell’ “isola” di Silvius Magnago muoiono tanti ragazzi per droga, tra il ’70 e l’80. Sono italiani tedeschi e ladini a morire, senza distinzione né di classe né d’etnia. E’ di Peter Kaser, invece, il bellissimo “Dolomiten Teufel”.
I calendari del Kulturzentrum scandiscono con pazienza rivoluzionaria il tema costitutivo della sua esistenza: l’ossessiva idea che tutto il Sudtirolo può diventare più consapevole e felice. A questa terra serve una cultura diffusa, capace di sprovincializzarla e renderla avamposto, laboratorio politico, linguistico e culturale. Ricordano che Kafka ha scritto qui le sue lettere a Milena e che Schnitzler e Pound non ne apprezzavano solo l’aria pulita. Nel 1990, uno degli ultimi manifesti grida: “Non distruggete questo piccolo paradiso”, contro l’abbattimento dell’Hotel Merano nella città del Passirio.
Il gruppo del Kulturzentrum non dimentica mai di essere minoranza nazionale. Conosce le difficoltà di essere sudtirolesi, come dice Claus Gatterer. Solidarizza con tutte le minoranze oppresse del mondo. Nel 1988 chiama Benny Nato De Bruyn dell’African National Congress. Nel 1987 si occupa di curdi, armeni, assiri. La pace è sempre presente come bene, pratica della non violenza, pre-condizione di qualsiasi esistenza civile e di ogni progetto interetnico.
Tanti sono i manifesti che annunciano concerti, film e pezzi di teatro. Franco Marini è regista dell’indimenticabile “Szenen aus dem Bauernkrieg” del 1976. Evelyn Andergassen, Luciano Casagrande, Irmtraud Mair, Richard Menghin, Benno Simma formano l”‘ArbeitersinggruppeN e suonano e cantano in tanti concerti. Gerhard Mumelter, Joseph Zoderer, Leopold Steurer, Umberto Gandini animano molti dibattiti.
Con la pubblicazione dei manifesti di vent’anni di cultura antagonista, il Sudtirolo storicizza un pezzo recente della sua storia.
A tutti e non solo ai protagonisti di questa ruggente stagione viene offerta l’opportunità di coglierne l’attualità perché la fiducia e la capacità nella trasformazione della realtà non siano confinate nel passato e imprudentemente archiviate. Infatti c’è chi pensa che un’azione come quella dell’arte nei pisciatoi non sia più possibile in questo normalizzato Sudtirolo d’inizio secolo.
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